Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?

Ricordate la canzone di Gaber? Il bagno è di destra, la doccia di sinistra; il culatello di destra e la mortadella di sinistra.

Ora sembra che le differenze tra destra e sinistra si riducano a queste banalità, con partiti e schieramenti che, come squadre di calcio, si distinguono più per la maglia che indossano che per come giocano; con tifoserie che, come quelle del calcio, si schierano di qua o di là per senso di appartenenza più che per condivisione di linee politiche.

Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra? Esiste ancora un senso in queste parole? Forse gli unici che l’hanno capito sono i “Cinque Stelle” che si dichiarano “né di destra né di sinistra”; sanno bene che se scegliessero un’etichetta o l’altra perderebbero una fetta consistente di coloro che li hanno votati, tanti “di destra” e tanti “di sinistra”.

Rimane allora qualcosa, di una diversità ideale (non ideologica, perché l’ideologia è acritica, come il tifo!) tra destra e sinistra che sopravviva ancora oggi all’abuso che si è fatto di queste due parole? Io credo di sì e provo a spiegarlo.

La contrapposizione ideale oggi è tra individuo e società, tra utilità personale e utilità collettiva, tra proprietà privata e beni comuni. Intendiamoci: questi sono i due poli, ma come i poli geografici sono zone inospitali; in mezzo c’è un’ampia gamma di gradazioni possibili, ma le due direzioni vanno riconosciute come riferimenti, appunto, ideali.

Nessuno, perlomeno nei Paesi di tradizione democratica, penserebbe di abolire la proprietà privata: la casa, la macchina e gli elettrodomestici (anche se qui si potrebbe aprire un altro ragionamento in un ambito di economia circolare), gli arredi, magari la seconda casa, i risparmi in banca, la terra degli agricoltori, il laboratorio dell’artigiano, l’impresa che dà lavoro.

Ma è legittimo porsi il dubbio se sia ammissibile che alcuni, pochi, pochissimi abbiano proprietà private per un valore pari alla metà del resto del mondo; redditi individuali maggiori del PIL di interi Paesi. E’ legittimo porsi il dubbio se il neoliberismo, in cui i capitali seguono la finanza e non gli investimenti produttivi, possa essere accettato come fondamento della nostra società. E’ legittimo porsi il dubbio se sia ammissibile che la maggior parte del reddito d’impresa remuneri il capitale e non il lavoro. E’ legittimo porsi il dubbio se sia ammissibile che i Paesi del Nord del mondo, per il livello di consumi che hanno, continuino ad essere i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici e quelli del Sud del mondo le prime vittime.

Nemmeno l’altro estremo è un panorama attraente. L’abolizione della proprietà privata, la collettivizzazione di terre e fabbriche, lo Stato padrone di tutto ed elargitore dei mezzi di sussistenza, sono esperienze fallimentari già percorse da vari regimi. Uno scenario in cui tutti i gatti sono grigi, l’iniziativa individuale è mortificata, in cui tutti sono uguali ma alcuni “più uguali degli altri” non è certo la società in cui la maggior parte di noi vorrebbe vivere.

Fra questi estremi, che ormai ha poco senso definire con i termini di destra e sinistra, si collocano i modelli di società possibili e le scelte politiche possibili, con la consapevolezza che non si può avere “la botte piena e la moglie ubriaca”, che non si può promettere meno tasse e più servizi, o lavoro per tutti e favorire nel contempo il capitalismo finanziario, libertà di circolazione dei capitali ed equità fiscale, deregulation e tutela dei diritti.

Tutti noi ce la prendiamo con la storia, ma io dico che la colpa è nostra: è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra” (Gaber).

“We are the 99%” era lo slogan del movimento “Occupy Wall Street”. Rendiamoci conto che il “bene comune” è il bene del 99%, non dell’1%; che ci sono beni collettivi, come ambiente, clima, biodiversità che non hanno e non possono avere un prezzo. Vi invito a leggere o rileggere l’enciclica di Papa Francesco “Laudato sii”, messaggio chiaro e autorevole in difesa del bene comune, del patrimonio naturale e sociale di tutti gli uomini e delle generazioni future.

Tutto il vecchio moralismo è di sinistra la mancanza di morale è a destra; anche il Papa ultimamente è un po’ a sinistra” (Gaber).

Gaber profetico? Naturalmente il moralismo non è la morale ma la sua caricatura; se non vogliamo conservare le vecchie distinzioni, diciamo che Papa Francesco non è un moralista (e ne ha dato prova in diverse occasioni) ma è difensore di una morale: quella del bene comune, della solidarietà, dell’equità.

E’ di sinistra? O è semplicemente una visione del mondo di buon senso? Decidete voi.

Stefano BISOFFI

Articolo liberamente riproducibile purché si indichino l’Autore e il link da cui è tratto