Non si è ancora sopita la protesta degli agricoltori di vari Paesi europei; i loro trattori sono ancora incolonnati per le nostre strade o fermi ad occupare piazze in diverse città. Sicuramente ci sono molte ragioni che giustificano la rabbia, a partire dalla remunerazione del lavoro:
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- il prezzo che i consumatori pagano al (super)mercato per i prodotti alimentari viene assorbito prevalentemente dall’industria di trasformazione e dalla distribuzione;
- il costo dei fertilizzanti e dei prodotti fitosanitari è cresciuto significativamente, anche a seguito della guerra in Ucraina;
- siccità e inondazioni hanno ridotto le produzioni in molte parti d’Italia e d’Europa con un impatto diretto sulle aziende agricole.
Quello che fatico a comprendere è il bersaglio: l’Europa. Per diverse ragioni:
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- La PAC (Politica Agricola Comune) non è imposta da un’Autorità sovranazionale; è il frutto di una concertazione tra Commissione (in cui ogni Stato Membro ha un proprio Commissario), il Consiglio (espressione dei Governi in carica) e il Parlamento (eletto dai cittadini). Chi critica “l’Europa”, soprattutto se è parte del Governo nazionale, dovrebbe chiedersi dov’era quando la PAC è stata decisa. Si erano distratti un attimo? Era stata decisa “col favore delle tenebre”?
- La PAC assorbe circa il 40% delle risorse gestite dalla Commissione Europea; nessun altro settore economico è destinatario di tanti quattrini. Una buona parte di questi soldi arriva agli agricoltori come “pagamenti diretti”, ovvero contributi legati al possesso della terra, non alla sua destinazione colturale. Forse questi soldi sono ritenuti insufficienti; forse troppi soldi vanno a chi già ha redditi elevati (anche se ci sono dei tetti da non superare); forse dovrebbero essere meglio mirati. Ma ignorarli non si può.
- Come giustificare queste erogazioni nei confronti dell’opinione pubblica? La Commissione, sempre d’accordo con Consiglio e Parlamento, ha nel corso del tempo ridotto la quota dei pagamenti diretti (c.d. “primo pilastro”) spostandoli al “secondo pilastro”, ovvero ad azioni che favoriscono il settore agricolo con mezzi diversi (assistenza tecnica, assicurazioni, organizzazione della produzione e commercializzazione) in un’ottica complessiva di “sviluppo agricolo”. Nel secondo pilastro sono stati inseriti anche incentivi per la preservazione degli ecosistemi, diminuire le emissioni di gas serra, favorire la biodiversità, nella consapevolezza che ad un contributo che grava su tutti i cittadini debba anche corrispondere un beneficio per la collettività.
- Questo “secondo pilastro” per chiarezza, viene co-finanziato a livello nazionale o regionale e sono i rappresentanti dei territori (le Regioni in Italia) che definiscono le priorità insieme alla Commissione. Quest’ultima deve garantire che vengano rispettati i principi di fondo della PAC.
- Molta, troppa burocrazia? Forse, ma questo è anche determinato dalla molteplicità di azioni finanziabili e dalla necessità, trattandosi di soldi pubblici, di garantire che siano spesi correttamente. Può darsi che la progressiva digitalizzazione e gli strumenti tecnologici (es. telerilevamento) miglioreranno la situazione.
I prezzi pagati agli agricoltori per i loro prodotti in azienda (farm gate) sono spesso vergognosamente bassi rispetto ai prezzi pagati dai consumatori finali. Un litro di latte viene pagato agli allevatori 45 centesimi; dal consumatore, al supermercato, almeno il triplo; spesso anche il quadruplo o il quintuplo. E’ difficile pensare che raccogliere, pastorizzare, confezionare e distribuire il latte costi tre, quattro, cinque volte quanto mantenere la mucca, nutrirla, mantenerla in salute, mungerla.
Analoghe situazioni si verificano per molti altri prodotti agricoli, ma ritengo che la soluzione non possa essere cercata in un cambio delle politiche agricole regionali, nazionali o europee, bensì in un cambio dei rapporti di forza nelle filiere. Finché i gruppi d’acquisto che riforniscono la grande distribuzione non troveranno dall’altra parte organizzazioni dei produttori capaci di contrattare sul libero mercato con altrettanta forza data dai numeri, non c’è speranza di cambiamento. Il tempo dei prezzi garantiti a livello europeo, che aveva portato all’eccesso di produzione e conseguente distruzione di prodotti in molti settori è finito.
E veniamo alla questione più critica delle proteste degli agricoltori, ma anche più scandalosa delle risposte date dalla politica alle contestazioni: le misure previste dalla PAC a favore della biodiversità e della mitigazione dei cambiamenti climatici.
Partiamo da una considerazione di carattere generale: gli agricoltori sono i più esposti, i più vulnerabili ai cambiamenti del clima e alla perdita di biodiversità degli ecosistemi agrari e forestali. La siccità, le inondazioni, le tempeste di vento colpiscono le colture molto più che le industrie, gli uffici, i trasporti, i servizi. Gli agricoltori dovrebbero essere quindi in prima linea con i movimenti ambientalisti, dovrebbero insultare chi parla di “ideologia” della tutela dell’ambiente. I rischi climatici e di perdita della biodiversità sono “scienza” non “ideologia”.
Gli agricoltori dovrebbero anche essere consapevoli del fatto che i sistemi alimentari (dal campo alla tavola) sono i responsabili di circa un quarto delle emissioni di gas serra in atmosfera e che quindi anche all’agricoltura si deve richiedere di “fare la propria parte”. Destinare il 4% della superficie alla conservazione della biodiversità, ridurre gradualmente il consumo di pesticidi e di fertilizzanti sono azioni delle quali gli stessi agricoltori beneficerebbero con una migliore funzionalità dei suoli, la salvaguardia degli insetti utili (api in testa ma anche parassiti di insetti dannosi alle colture) e, non da ultimo, una riduzione dei costi per prodotti chimici. Che questo sia possibile è dimostrato dall’esistenza e progressiva espansione dell’agricoltura biologica.
Ciò che gli agricoltori dovrebbero pretendere è, piuttosto, che anche gli altri settori della società siano chiamati a contribuire alla “transizione ecologica” in misura analoga, dai trasporti, al turismo, all’industria. E tutti noi, se vogliamo contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e alla salvaguardia di biodiversità e ambiente, dovremmo adottare comportamenti individuali più sostenibili nella nostra vita quotidiana. Questo sarebbe una dimostrazione di solidarietà con gli agricoltori, molto più che lo smantellamento del “Green Deal” e delle strategie “Farm to Fork” e sulla Biodiversità come sembra si appresti a fare la Commissione.
Stefano BISOFFI
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