I Paesi che avevano partecipato alla conferenza sul clima di Parigi COP 21 del 2015 avevano concordato che, con iniziative definite in modo autonomo ciascuno, si dovesse contenere l’aumento di temperatura media mondiale rispetto all’epoca preindustriale entro i +2°C, possibilmente entro +1,5°C. Teniamo conto che già siamo arrivati a +1°C e si stanno sciogliendo i ghiacci ai poli (oltre a molti altri effetti negativi); e quindi, a +1,5°C o a +2°C, la situazione del clima sarà comunque inevitabilmente peggiore di quella attuale.
L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha pubblicato a ottobre 2108 un rapporto sulle iniziative che l’umanità dovrebbe adottare per rimanere entro +1,5°C (https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/sites/2/2018/07/SR15_SPM_version_stand_alone_LR.pdf). Nel rapporto c’è il grafico riprodotto in testa all’articolo che rappresenta l’andamento che le emissioni di gas ad effetto serra (GHG) dovrebbe avere d’ora in poi per avere buone probabilità (non la certezza!) di raggiungere l’obiettivo.
Il grafico rappresenta i flussi, non gli stock. Ossia per ogni anno sono indicate le nuove emissioni di GHG che vanno ad aggiungersi a quelli già presenti in atmosfera. Come si vede, fino ad oggi, anno dopo anno, abbiamo immesso in atmosfera quantità sempre crescenti di GHG. La retta che precipita per arrivare a zero circa nel 2055 indica che da adesso in avanti, anno dopo anno, dovremmo ridurre drasticamente i flussi di GHG in atmosfera per azzerarli nel 2055.
Quale combinazione realistica di circostanze potrà far sì che l’obiettivo di emissioni zero nel 2055 si verifichi? La “Great Food Transformation” auspicata dalla EAT-Lancet Commission (https://hubs.ly/H0gcxY90) consentirebbe forse ai sistemi alimentari di apportare il loro rilevante contributo, ma gli ostacoli alla sua realizzazione sono enormi.
In ogni caso non basterebbe. Altri cambiamenti radicali sarebbero necessari in tempi rapidi.
Nei trasporti, ad esempio. I motori a combustione sono ancora dominanti; l’industria dell’auto è ancora considerata il termometro dell’economia; e comunque, anche se si optasse per l’elettrico, l’energia elettrica dovrebbe essere prodotta da qualche parte; e nella produzione di energia elettrica potrà aumentare la quota di rinnovabili (solare ed eolico in particolare) ma non da un anno all’altro; si potrà ridurre il carbone ma, per il momento, non si potrà fare a meno di petrolio e gas. Ma è soprattutto il continuo crescere dei volumi dei trasporti a vanificare ogni incremento di efficienza dei motori.
C’è inoltre un lag-time dato dalla vita utile dei mezzi di trasporto. Un aereo costruito oggi consumerà jet fuel (simile a kerosene) per trent’anni; un camion, gasolio per vent’anni. Si innesca quello che in inglese si definisce “path dependency” ovvero un condizionamento del futuro da scelte prese nel passato.
Il riscaldamento degli edifici è ancora basato largamente su gasolio, metano e GPL. Ogni cambiamento richiede tempo e investimenti.
Ci sono poi attività industriali (es. siderurgia, cementifici) nelle quali sono richieste grandi quantità di energia “puntuale” che al momento solo la combustione riesce a fornire.
Le transizioni necessarie sono costose non solo in termini economici, per gli investimenti che richiedono, ma anche in termini sociali e individuali di cambiamento di abitudini, stili di vita, distribuzione delle risorse tra Paesi e riduzione delle diseguaglianze. Come per la “Great Food Transformation” (v. articolo su “Clima e abitudini alimentari”, https://www.bisoffi.it/2019/03/03/clima-e-abitudini-alimentari/), quale governo democratico, dovendo dipendere da una maggioranza dei consensi e con frequenti elezioni, affronterebbe i rischi di una transizione drastica, inevitabilmente impopolare?
Vale oltretutto la “tragedia dei beni comuni” (tragedy of the commons), seppure al contrario. “Perché dovrei accollarmi un sacrificio per me oneroso se questo si traduce in un vantaggio infinitesimale per tutti? Chi me lo fa fare? O ci si mette tutti insieme o niente”. E siccome metterci tutti insieme è un’utopia, visto il risorgere di spiriti nazionalistici e il deteriorarsi dei sistemi multilaterali, non se ne farà nulla e si andrà a sbattere contro il muro.
Stefano BISOFFI
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