Poche decine di migranti su una nave tenuti all’àncora al largo di un porto italiano. Scene che si sono ripetute nel 2018 e che si riaffacciano già all’inizio di quest’anno. Una retorica “difesa dei confini” diventa la bandiera di chi probabilmente non ha né idee un po’ più serie da proporre agli italiani né una chiara percezione del fenomeno delle migrazioni.
Voglio porre tre questioni sul tavolo: a) la presunta differenza tra rifugiati ed emigranti economici; b) la nostra storia di emigrazione; c) l’assurda illusione di poter controllare i flussi dall’Africa.
- I rifugiati, riconosciuti come tali dalle convenzioni internazionali, sono coloro che fuggono da guerre o persecuzioni politiche, religiose o etniche che ne mettono a repentaglio la sopravvivenza. Migranti economici sono quelli che fuggono da Paesi in cui patiscono la fame, non hanno lavoro, non possono assicurare un futuro dignitoso ai figli; insomma, cercano un luogo dove avere una vita migliore. Ditemi voi perché questi ultimi debbano essere considerati dei furbi, degli usurpatori di diritti altrui, degli invasori, degli abusivi da respingere con ogni mezzo al posto da cui sono partiti. E’ o non è un’aspirazione legittima quella di cercare un futuro migliore? Che differenza c’è tra l’africano che cerca di venire in Europa magari con la prospettiva di fare il bracciante o l’operaio o il muratore o l’addetto alle pulizie e i nostri giovani brillanti ricercatori che cercano all’estero condizioni migliori di quelle che il nostro sclerotico sistema universitario e degli Istituti di ricerca offre loro? In quest’ultimo caso, addirittura, colpevolizziamo i nostri giovani, i “cervelli in fuga”, quasi avessero commesso un tradimento della patria. Chi lascia il luogo in cui è nato e cresciuto, la propria rete di relazioni umane per “cercar fortuna” altrove ha diritto a rispetto per le ragioni e ad ammirazione per il coraggio; tutti senza distinzioni.
- “Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori” è quanto sta scritto sulle facciate del palazzo della Civiltà Italiana all’EUR, a Roma. Si calcola che negli anni dall’Unità d’Italia agli anni ’80 del secolo scorso siano emigrati quasi 19 milioni di italiani, in maggioranza verso le Americhe o verso altri Paesi europei; questo numero è all’incirca quattro volte il numero degli stranieri residenti in Italia (5 milioni) e quest’ultimo è di pochissimo superiore al numero degli italiani residenti all’estero (4,9 milioni). E tranne i pochi che sono fuggiti dalle persecuzioni fasciste, erano tutti “migranti economici” che “cercavano fortuna” in paesi lontani. Ma allora di cosa stiamo parlando? Ci facciamo prendere in giro de qualche politico dalla faccia truce? Temo proprio di sì.
- In Europa (il continente, non l’Unione Europea) ci sono poco meno di 750 milioni di abitanti (di cui 500 milioni nella UE); in Africa 1,2 miliardi. Ma facciamo un salto di qualche anno, fino al 2050, circa trent’anni da oggi. In Africa ci saranno 2,5 miliardi di abitanti, circa il doppio di oggi; in Europa saremo scesi a 715 milioni. Mettiamola in un altro modo: nei prossimi trent’anni, ci saranno tanti africani in più di ora quanti il doppio di tutti gli europei di oggi. E noi (qualcuno di noi) pensa che si possa frenare la voglia di tanta gente di condividere un po’ del nostro benessere fermando le barche della speranza nel Mediterraneo? A me sembra che per credere una cosa del genere ci si debba riempire il cervello di stoppa anziché di materia grigia. Cerchiamo, invece, di aiutare in modo serio lo sviluppo sociale ed economico dei Paesi africani invece di lasciare che le imprese del mondo cosiddetto civile li rapinino delle loro risorse, spesso alimentando governi corrotti con pratiche che, in nome della libertà di iniziativa economica, sfuggono ad ogni controllo di leggi dei paesi d’origine.
Le migrazioni ci sono sempre state e sempre ci saranno; la storia del mondo è una storia di migrazioni. L’Italia è stata nei secoli un luogo di passaggio di greci, fenici, galli, goti, longobardi, bizantini, arabi, franchi, normanni; e la sua ricchezza artistica e culturale dipende anche da questa mescolanza di culture e tradizioni. Chiudere i porti adesso è una barzelletta … che non fa ridere.
Stefano BISOFFI
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